Skip to main content
© Circle. All rights reserved.
Powered by Radio Sea Sound.

12 Gennaio 2025

Sulla faglia della storia

Tra Groenlandia, globalizzazione e tecnica

di Emanuele Verde

Ascolta la lettura dell’articolo

“Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all’altro (la tecnologia, il nuovo dio).”

(cit. Emanuele Severino)

 

Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera – credo fosse un articolo di Federico Fubini – mi sono imbattuto in una riflessione sorprendente. Pare che la tanto discussa uscita di Trump sulla Groenlandia non fosse una semplice boutade. La minaccia di annessione di una parte del territorio danese (non so se ci rendiamo conto!) trova spiegazione nella crescente preoccupazione americana per l’egemonia russa nell’Artico. Putin, infatti, avrebbe da tempo colto le opportunità offerte dal cambiamento climatico – la Groenlandia, come sappiamo, è al centro di studi scientifici proprio in questo senso – per mettere in campo un’impressionante flotta di navi rompighiaccio, rendendo sempre più navigabile la regione artica. Ma a vantaggio di chi? Al momento, il maggiore beneficiario del controllo militare russo sull’Artico sarebbe la Cina, che vedrebbe concretizzarsi una “Via della Seta artica”. Non è difficile immaginare la smorfia compiaciuta di Xi Jinping all’idea. Ecco quindi spiegata l’urgenza americana: “The Donald”, infatti, oltre alla Groenlandia, punta esplicitamente a consolidare il controllo su altri snodi marittimi vitali come Panama e il Golfo del Messico.

Questo è solo l’ultimo capitolo di quel romanzo distopico che sembra essere il XXI secolo. Basta fare mente locale su quanto accaduto in questi primi venticinque anni per rimanere senza parole: il crollo delle Torri Gemelle; l’ascesa di Al Qaida e dell’Isis; l’ingresso della Cina nel WTO; la crisi dei subprime; la pandemia da Covid-19; Brexit; il conflitto russo-ucraino; quello israelo-palestinese; e, ultima ma non per importanza, la crisi climatica di cui abbiamo già detto. E questo senza nemmeno soffermarsi sulle primavere arabe, la disintegrazione della Libia, o il caos che continua a travolgere il Centro Africa. L’elenco è volutamente incompleto, ma sufficiente per descrivere l’increspatura costante di un mondo in affanno.

Insomma, contrariamente a quanto previsto da Francis Fukuyama nel suo celeberrimo saggio “La fine della storia e l’ultimo uomo” (The End of History and the Last Man), la storia è tutt’altro che giunta al capolinea e le ideologie non sono affatto morte. Certo, il comunismo è ormai un ricordo sbiadito, a parte il peculiare caso cinese (che meriterebbe una discussione a sé), ma i nazionalismi sono più vigorosi che mai. Eppure, l’intuizione centrale di Fukuyama – l’idea che la diffusione della democrazia liberale avrebbe appianato le asperità della storia, rendendo il mondo uniforme e prevedibile – ha trovato ampio consenso. Questo spiega forse la propensione di una buona parte della stampa occidentale a rappresentare il caos globale come un’eterna e binaria battaglia tra il bene e il male, una narrazione forse rassicurante ma decisamente lontana dalla complessità del reale.

Non intendo però addentrarmi in lunghe e polarizzanti discussioni. Preferisco invece seguire tracce aperte, lasciare spazio a pensieri interlocutori e giudizi sospesi, nella speranza di stimolare chi legge a riflettere e interrogarsi.

In questo contesto, c’è un altro convitato di pietra che merita attenzione: la pervasività della tecnica. Anche solo il fatto che questo testo sia stato revisionato con l’aiuto di Chat GPT ne è un esempio. Memorabili, a tal proposito, le parole del compianto filosofo Emanuele Severino:

“La globalizzazione autentica non è quella economica, è quella tecnica. Commettiamo l’errore di credere che capitalismo e tecnica siano la stessa cosa: no, hanno scopi diversi. Il capitalismo ambisce all’incremento infinito del profitto privato, la tecnica all’incremento infinito della capacità di realizzare scopi, ovvero della potenza. La tecnica ucciderà la democrazia. Gli Stati Uniti a un certo punto prevarranno, ma non in quanto nazione, bensì come gestori primari della potenza tecnologica. Ora fatichiamo a comprenderlo perché ci troviamo in un tempo intermedio. Siamo come il trapezista che ha lasciato un attrezzo (la tradizione) e non si è ancora aggrappato all’altro (la tecnologia, il nuovo dio).”

Mi fermo qui. L’unica certezza che ho è che ci troviamo su una faglia della storia. Chissà che, arrivati alla fine di questo 2025, non ci ritroveremo in un mondo profondamente diverso da quello che abbiamo conosciuto finora.

Emanuele Verde